Il primo passo. Verso dove?

Così come ogni opera d’arte scaturisce dalla storia di vita di un singolo artista e dal suo personale progetto di mondo, allo stesso modo ogni opera scientifica è espressione di chi lo costruisce e ne sostiene lo slancio. Questo vale anche per la nostra Associazione Italiana di Psicologia Fenomenologica che in questo articolo scopriamo essere legata, nel movimento stesso della sua nascita, alla traiettoria esistenziale di Maria Armezzani, insieme a quelle di molti che si sono uniti alla sua in una spinta collettiva. L’autrice ci fa intravedere lo slancio verso la fenomenologia da cui ha preso le mosse il nostro progetto, e lo fa con un’autenticità che è cifra della psicologia fenomenologica di cui vorremmo essere promotori. Heidegger diceva che sono pochi i momenti della vita in cui un individuo riesce ad essere autentico con sé stesso e con gli altri, ma in questo articolo si ritrova un’autenticità che spesso manca a ricercatori ed accademici, troppo assorbiti dalle dinamiche di quel potere scientifico in grado di dissolvere le singole soggettività in una neutralità senza sapore. Riprendendo un lavoro di Minkowksi del 1951, libera da quei “criteri di accreditamento” – come li definisce – imposti dall’establishment accademico, la Armezzani compie qui un’analisi fenomenologica del verso, inteso come direzione del movimento vitale, che poco ha a che vedere con le leggi del moto della fisica e con le loro esatte geometrie. Quella disvelata nei suoi aspetti essenziali è la dimensione del movimento vissuto, fatta di divenire, limiti e possibilità, che chiama in causa il corpo vivo e la sua espressione nel mondo. Come afferma Straus, “se l’oggetto della conoscenza fisica è l’oggetto mosso, l’oggetto della conoscenza psicologica è il corpo che si muove” (1935). Al livello dell’esperienza in prima persona di un’esistenza incarnata spariscono obiettivi e scopi prefissati (ossessioni dell’homo oeconomicus e di una certa ottica manageriale dei nostri tempi) per lasciar spazio a un movimento che si fa direzione e tensione-verso. Piuttosto che una chiara previsione del proprio agire futuro – magari scandito da una serie di task – nel verso del movimento vissuto si intravede una forma in statu nascendi dell’impulso vitale (Lebensdrang). In questo senso, la nascita della AIPF e della nostra rivista MITDASEIN sono un primo passo di questo tipo: un movimento bottom-up di aggregazione dal carattere spontaneo, orientato da un certo orizzonte valoriale. A ben vedere, è però forse possibile trovare almeno una somiglianza tra il verso del movimento vissuto cui ci introduce la Armezzani e il dominio delle leggi fisiche, se sappiamo cercare nella fisica della non linearità di Prigogine e Bitbol. Come vale per un pendolo caotico, infatti, anche il movimento vissuto ha una certa “sensibilità alle condizioni iniziali”. Non sappiamo in quali luoghi ci porterà questo primo passo costituito dalla nascita di MITDASEIN, ma siamo certi che le nostre condizioni iniziali hanno a che fare con i valori, propri della fenomenologia, messi nero su bianco in questo articolo, dell’autenticità, dell’apertura al dialogo e all’incontro intersoggettivo.

 

Giuseppe Salerno

Associazione Italiana Psicologia Fenomenologica

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Il primo passo. Verso dove?

Maria Armezzani  

Presidente Associazione Italiana Psicologia Fenomenologica

 

Creare questa associazione di psicologia fenomenologica è stato un primo passo.
Verso dove?

La domanda che mi faccio, e propongo a tutti voi, somiglia al titolo di un breve articolo di Minkowski che vorrei condividere per la profondissima riflessione che ci regala. Io la trovo preziosa, anche perché la sento risonante con le intenzioni più autentiche che mi hanno fatto decidere, alla fine, di fare questo passo, quest’altro primo passo. Ma soprattutto perché allude a cose essenziali che vale la pena di pensare per la nostra vita.

L’articolo di Minkowski si intitola proprio così: “Verso… (Lo slancio verso)[1] e comincia con queste parole:
Piccolo vocabolo di cinque lettere-meraviglioso vocabolo che amo tanto! Non si direbbe che esso ci sveli da solo tutto un mondo?
E infatti, a forza di girare e rigirare questo piccolo vocabolo, di confrontarlo con altri, di evidenziarne l’uso nel linguaggio del mondo della vita, Minkowski ci svela le dimensioni esistenziali che avvolgono il suo uso. Per questo l’articolo andrebbe letto per intero. Ma basterà richiamare solo qualche brano per estrarne il succo. E infine, per cercare di dare una risposta alla domanda iniziale: verso dove?

Dice Minkowski:

 

“Verso” indica propriamente una direzione. Eppure, si tratta di una direzione particolare, unica nel suo genere. E la prima direzione che dobbiamo conoscere. Si riferisce al dinamismo elementare al tempo vissuto. è generatrice di tutte le altre, poiché essa ci svela il senso di quello che “avere una direzione” può voler dire, in generale, nella vita; e ci rende questo significato “familiare” come anche ci rivela come essa stessa si ponga nei confronti di questa vita. È vivente, animata, umana. Come tale, comporta sempre un margine di indeterminatezza; oltrepassa dall’origine qualsiasi punto fisso.

Sempre la stessa, non si esaurisce mai. Le direzioni nello spazio sono multiple; ognuna nella sua precisione lineare, esclude tutte le altre. La direzione di “verso” è una; non potrebbe diversificarsi né dar luogo a un multiplo; ma, come tale, si espande, si apre a ventaglio. Traccia, segue una linea, ma questa linea è più una trama che una linea; ciò che è puramente lineare le resta estraneo.

 

“Il primo passo verso…” contiene già in sé una direzione. La direzione è già nel primo passo. Ma è una direzione che non si definisce a partire da un punto d’arrivo posto di fronte o a distanza da noi; non è segnata da un obiettivo da raggiungere, da uno scopo prefissato, da un’anticipazione di utilità. Ciò che è puramente lineare le resta estraneo.
La direzione impressa dal primo passo è aperta e indeterminata, avvia un movimento che mette fine alla stasi, la rinnega e la cancella. L’essenza del primo passo è tutta lì, nello slancio da cui origina il movimento.
Movimento verso, certo; ma scegliere una rotta non coincide con la linea disegnata sulla mappa; la direzione va riscoperta nella sua origine più profonda come slancio vitale.
Quello che suggerisce Minkowski è decisamente inattuale e controcorrente. Ci hanno abituato a credere, in questo mondo manageriale, che bisogna avere obiettivi precisi da raggiungere e per cui darsi da fare, che occorrono programmi, strategie razionali per conseguire i risultati che ci proponiamo e che aver definito il traguardo motiva il primo passo lungo una strada già prefigurata.
Eppure, se torniamo al mondo della vita e all’esperienza vissuta, ci appare evidente che i nostri primi passi, quelli che hanno segnato, retrospettivamente, il nostro percorso personale non erano mossi da programmi definiti e strategie pianificate. Per questo li ricordiamo come significativi. Qualcosa ci muoveva, una spinta vitale che ci dava il coraggio per fare quel primo passo.
Il primo passo verso la scrittura, ad esempio, non ha già davanti a sé il libro già compiuto, ma “qualcosa come un libro”, qualcosa che comprende indefinite possibilità, diverse vie d’espressione, qualcosa che prefiguro vagamente senza avere del tutto in chiaro il prodotto finito. Se muovo il primo passo dichiarando a qualcuno il mio amore, posso sperare che l’altro risponda, ma non so ancora che cosa risponderà; accetto il rischio, in un movimento di attrazione verso un valore, verso ciò che sento così importante per me. Il primo passo che l’eroe compie per sacrificarsi non è motivato dall’aspettativa del sacrificio, ma da una spinta che conta più dell’esito temuto (da dove verrà quella spinta?) e che prende la forma del coraggio. Ma, come sempre, ciò che è più originario è più rivelatore: il primo passo del bambino è espressione di un istinto di vita e di esplorazione che non ha bisogno di ragionamenti e di progetti; è la vita stessa che si muove con lui. La direzione in avanti è il senso stesso del movimento. “Senso”; proprio come nel linguaggio comune si dice “senso di marcia”, movimento verso, che vieta la direzione contraria ma non prefigura già ordinatamente la meta da raggiungere.
Allora, se riscopriamo questa direzione mobile e aperta impressa dall’origine nel movimento della vita, il primo passo è assecondare questo movimento vitale, lo slancio verso

Seguiamo ancora Minkowski:

 

Ampia è la vita. Lo slancio, non conoscendo limiti, sorpassa, nel suo volo, qualsiasi scopo preciso che nella vita giornaliera possiamo essere condotti ad assegnargli. Avviene lo stesso per l’insieme di questi scopi, nella misura in cui essi derivano dal numero. Di qui la sua intima affinità con “verso…”. Lo slancio, senza sottovalutare le tracce che depone sul suo cammino, va sempre più lontano, verso… I punti fissi non lo intaccano, né vengono a mordere su di esso, si situano al di qua della sua vera natura. Sempre risorgente nella sua potenza primitiva, inalterabile, nelle sue ali ci trascina verso regioni eternamente vergini, rispetto alle singole realizzazioni isolate, verso regioni infinite ma pure così vicine a noi e assolutamente alla nostra portata.

Eterna ricerca, eterna aspirazione, lo slancio apre completamente l’avvenire davanti a noi. Ed anche noi, essendone penetrati, rimaniamo aperti su questo avvenire. Impegno e disponibilità al tempo stesso. Lo “slancio verso…”.


Impegno e disponibilità al tempo stesso: la dimensione attiva della decisione che fa muovere il primo passo è tutt’uno con la dimensione “passiva” di abbandono (Gelassenheit) a ciò che fa da attrattore. Il movimento della vita è già sensato, ha già in sé la direzione. Ma ampia è la vita, dice Minkowski, per ricordarci che c’è sempre dell’altro al di là del nostro cerchio, in cui spesso abbiamo la tendenza a rinchiuderci, che per assecondare il senso dobbiamo guardare oltre, sporgerci, fare un primo passo fuori dal riparo. Perché quello che ci sembra lontano, diverso dalle nostre abitudini, astratto, a volte impossibile, è invece “assolutamente alla nostra portata”; è, anzi, quella dimensione di ulteriorità che ci fa essere davvero umani. Senza nulla togliere alle singole concretizzazioni del nostro destino, a ciò che siamo riusciti a realizzare nella nostra vita, c’è altro da esplorare. La vita è ampia.

 

Dove va? – Vado a Parigi, come anche sono a Parigi. Lontano da Parigi i miei pensieri vanno verso Parigi, vanno verso un essere caro, e in questo “verso” Parigi rivive.

 

“Verso” esprime anche quella tensione che, nella vita umana, ha la capacità di dare valore alle cose.
Il movimento concreto del recarsi a Parigi, come anche lo stare realmente a Parigi, non hanno l’intensità di quel rivolgersi “verso” qualcosa che si ama. Ciò che per noi è importante prende nuova vita nel pensarlo come tale, si colora delle vibrazioni dell’assenza, acquista quella qualità e quel senso che solo la direzione di “verso” può imprimere, togliendolo dalla scontatezza del già acquisito, del sicuro, dell’ovvio.

 

Verso quel luogo convergono tutte le strade; in quel punto preciso si incrociano. In “verso” l’essenziale è il movimento; il luogo è soltanto secondario; in fondo può essere soltanto virtuale. Ma, come tale, sembra però, possedere una “forma” di attrazione particolare, seppure unicamente per il fatto stesso che tutte le strade convergono verso quel luogo medesimo, e che, anzi, non soltanto convergono, ma vi devono convergere; e ciò dal momento che questo luogo esiste, non foss’altro che virtualmente, a somiglianza del nostro sforzo umano che immediatamente si rivela solidale con tutti gli altri.
Questa convergenza non è cosa fatta, ma sempre nell’atto di farsi. Una volta compiuta, non è più che un quadro statico, uno schema scheletrico, immobile e striminzito: strade che -al pari delle linee- non si muovono, ma che, semplicemente, si incrociano in un punto fisso. Perdono il carattere di “strade”; diventa indifferente sapere se esistono affinché il movimento e affinché la vita si dispieghino su di esse; da questo movimento si è fatto astrazione. Avviene, quindi, che se in quel punto si incontrano, indistintamente, da quel punto partono. È l’evidenza stessa; è la stessa cosa. Eppure, esitare a un incrocio di strade nel prendere questa o quella direzione e seguire una strada, con la convinzione profonda che altre strade devono necessariamente sfociare verso lo stesso punto e farne così un luogo di incontro, sono lungi dall’essere, sul piano vitale, situazioni identiche.

 

Il movimento verso può portare alla convergenza dei percorsi nello stesso luogo, un luogo ideale o reale, non importa, ma un luogo che fa da attrattore, da richiamo ai passi che si   compiono per raggiungerlo. In questo sta la forza del luogo: ciò che gli dà la valenza di attrattore è il senso condiviso, la direzione comune che ci fa sentire solidali con il cammino degli altri e ce li fa riconoscere come simili.
La convergenza delle strade, tuttavia, non è mai “cosa fatta”: è sempre nell’atto di farsi.  Altrimenti quel luogo diventa un quadro statico, uno schema scheletrico, perché nella realizzazione compiuta di esso muore il movimento, lo slancio, la spinta che rende attuale e autentica la confluenza dei diversi cammini.
Come fa notare con un lampo intuitivo Minkowski, la visione che deriva dall’immagine ferma delle linee congiunte può erroneamente farci credere che la direzione sia reversibile, che siano equivalenti il punto di arrivo e di partenza. Ma proprio questo è l’errore più grave del pensiero razionalistico: immobilizzare ciò che per sua natura è in movimento e allontanarci dalla vita che invece è indeterminata e aperta sull’accadere. Nella raffigurazione statica, quanto meno, si perde quel punto di esitazione, così profondamente umano, che precede il primo passo e attende la spinta interna “verso…”
A questo punto si può capire perché il pensiero poetico di Minkowski mi ha suggerito la direzione di risposta alla domanda iniziale.
Per me fondare l’associazione è stato un primo passo “verso”. Mettere in movimento qualcosa che sta ancora accadendo e che dovrà ancora accadere.
Un movimento che, per me, ha radici lontane, ma che è sempre lo stesso. Quando mi sono innamorata della fenomenologia (e la parola non è casuale perché non si sceglie mai una corrente di pensiero solo razionalmente), sentivo un’attrazione, un richiamo forte non tanto per la dottrina fenomenologica, quanto per ciò che questo stile di pensiero lascia vedere, per i territori inesplorati che mostra allo sguardo, per la sua aderenza alla vita vera. C’è sempre un fondo di insoddisfazione che ti fa muovere un primo passo su una strada diversa da quelle già segnate e, anche nel mio caso, la delusione per la psicologia, come mi era stata sempre presentata, mi ha mosso verso un orizzonte che, al tempo, mi sembrava ricco di promesse.
Non è stato facile proseguire in questa direzione. La psicologia, nonostante gli sviluppi continui e le svolte paradigmatiche, in fondo, non ha cambiato faccia; mi sono mancati compagni di viaggio nell’ambiente accademico; i criteri di accreditamento in cui mi sono imbattuta erano sempre nella direzione contraria di quanto a me sembrava essenziale nel lavoro scientifico e clinico; più volte mi sono sentita dire che avevo sbagliato strada e che perdevo il mio tempo a occuparmi di fenomenologia.
Eppure, ho sempre sentito che, per me, era tanto più importante quello che, intanto, incontravo su questa strada: i miei Maestri, il loro sguardo sapiente e sincero che porto sempre con me, la risonanza con studiosi e ricercatori conosciuti a qualche fortunato punto di incrocio, tanti studenti nelle cui domande riconoscevo la stessa sorpresa e lo stesso entusiasmo che mi avevano portato in questa direzione.

E poi, negli ultimi anni, la constatazione che la fenomenologia, rifiutata dagli psicologi, è stata riconosciuta nella sua radicalità e nel suo valore scientifico, in molti ambiti delle scienze “forti” (oltre ad aver dato i suoi frutti ormai maturi nella psicopatologia e nella psichiatria), mi ha confermato il senso di quel cammino. E mi ha convinto che fosse ormai tempo di dare spazio alla forma di una psicologia fenomenologica.

L’idea di un’associazione che raccogliesse tutti quelli che credono nella possibilità di questa  forma e nella sua fioritura nasce da qui: dalla speranza che la psicologia possa diventare qualcosa di diverso da quell’impossibile “scienza della psiche” che illude di poter risolvere con la tecnica i problemi dell’esistenza; che si possa fondare, invece, una scienza umana dell’umano, una  scienza che non si allontani dalla vita, riconoscendo e valorizzando i limiti della nostra conoscenza nella dimensione dell’incontro tra soggetti.
Le vostre risposte a questo invito dimostrano che questa direzione è possibile. Ma siamo ancora al primo passo.

Come proseguire?

Lo Statuto dell’associazione prevede “attività di promozione e diffusione delle conoscenze e degli aggiornamenti scientifici relativi all’ambito della psicologia fenomenologica”, “attività di formazione, di ricerca e di sviluppo professionale mediante l’organizzazione di riunioni, seminari, convegni, congressi, corsi di insegnamento, workshop” e “attività editoriali (…) in tema di psicologia fenomenologica”.
La realizzazione di questi e altri progetti potrà sostenersi soltanto su quel movimento iniziale che ci ha fatti incontrare qui, soltanto se la direzione di marcia è condivisa, se può avere un senso per ciascuno di noi.Tornando alle parole ispiratrici di Minkowski, il luogo che abbiamo creato e in cui convergono le nostre strade è già un risultato importante, dal momento che questo luogo esiste (mentre prima non c’era) e ci consente di sentirci solidali nel nostro percorso, di non sentirci soli.
Ma è ancora più importante non fermarci nella definizione del luogo, facendo astrazione dal movimento, non riposare nella realizzazione di qualche obiettivo, ma riattivare quello slancio verso che da sé traccia la direzione e apre a nuove possibilità. Se manteniamo questo slancio, lo slancio del primo passo, potrebbero accadere ancora molte cose, anche non esplicitamente previste o prevedibili dallo Statuto.
Il rischio da cui Minkowski ci mette in guardia è quello di far diventare questo luogo un quadro statico, un luogo semi-istituzionale, una delle tante associazioni che esistono e che organizzano conferenze.
La fenomenologia, lo sappiamo, è sempre un nuovo inizio. È l’attitudine a ricominciare sempre da capo, a fare sempre di nuovo il primo passo. E ci insegna a vedere che le cose non sono mai costituite una volta per tutte, ma prendono forma nell’incontro degli sguardi.
Se vogliamo restare fedeli alla direzione che accomuna i nostri percorsi, dobbiamo attraversare quella che Husserl chiamava “la porta d’ingresso della fenomenologia”: l’epoché, capace di rivitalizzare ogni nuovo passo e di riattualizzare, ogni volta, quello sguardo originario che ci ha portato via dai sentieri già battuti e più rassicuranti. Apparentemente rassicuranti, perché, in realtà, possono solo occultare l’insoddisfazione, la mancanza, la domanda, invece di affrontarla come essenziale alla condizione umana.
Se avremo il coraggio di condividere, attraverso una comunicazione sincera e uno scambio attivo, i pensieri, le esperienze, i dubbi, le proposte, forse, potrebbe mostrarsi da sé la ragione del nostro essere insieme e potremmo veramente dare una forma vivente a questa idea di una psicologia fenomenologica.
Insomma, l’unica risposta “sensata” alla domanda iniziale è che ci accorgeremo, strada facendo, verso dove stiamo andando.

 

[1] Minkowski E. (1951). Vers…L’ élan vers…, Algemeen Nederlands Tijdschrift voor Wijsbegeerte en Psychologie, 44, 1,114-119. Trad. It. In Minkowski E. (1969). Filosofia Semantica Psicopatologia, Mursia, Milano.

 

 

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