Il pensiero di Barison sulla schizofrenia è ancora attuale?

Ferdinando Barison, psichiatra tra i più importanti del panorama nazionale del XX secolo, viene qui tratteggiato, nel suo carattere deciso e rivoluzionario, da chi ha potuto conoscerlo da vicino. Ne emerge una figura attenta e controcorrente, fondante la propria ricerca e la propria pratica sull’approfondimento del tema del diverso, capace di unire la riflessione filosofica (soprattutto, in modo decisamente eversivo, quella propria del secondo Heidegger) a una forte aderenza ai piani più concreti dell’esistenza. Barison si batte per il riconoscimento di quel “plus” insito nel paziente schizofrenico, in aperta opposizione all’idea, maggioritaria, secondo cui egli rappresentasse innanzitutto un “minus” (ma è poi diverso oggi, domanda implicitamente questo intervento di Giuseppe Migliorini?). “Chi” è lo schizofrenico, e come il clinico deve porvisi per scorgerne il “lui” che si disvela attraverso espressioni, comportamenti, mimiche? Come accedere a queste “radure di senso” che, nel momento in cui si mostrano, si sottraggono? Cosa si nasconde dietro allo “strano” dello schizofrenico, e di quali modi di esistenza si fa esso scorcio? Il vero compito della psichiatria risiede nell’indagine di queste tematiche e nell’inseguimento del “gioco di radure” fra clinico e paziente: esso rappresenta sicuramente, per chi sia abituato a non essere capito, un’esperienza tra le più calde ed intime, un evento davvero notevole, nonché già un criterio di guarigione.

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